Da: UOMINI E LIBRI N. 40/ 1972 ANNO VIII

POESIA

 

Silvana Folliero

 

Anna Malfaiera: una poesia fortemente provocatoria

 

Anna Malfaiera non si propone di essere tanto buona, tanto cordiale, tanto simpatica né vuole per la struttura della sua poesia il migliore dei mondi possibili o il più esatto dei nuclei vitali.

 

Il suo nucleo (e c’è questa cellula robusta, pretenziosa, esplodente) è altrove, nel fondo della precoscienza, emergente attraverso filamenti estetici di larga derivazione, con una parola che batte, che picchia, che s’infrange come onda sopra uno scoglio, in una deiscenza lessicale che mette a repentaglio la realtà costituita e pone nel rischio l’essere. E’, insomma, una poesia fortemente provocatoria.

 

Dopo l’agile libretto, Fermo davanzale (Rebellato, 1961) la cui poeticità era legata al fondale dell’io inafferrabile, quasi sempre sfibrato da sensazioni vaghe, da paesaggi schivi e da elementi incompiuti (“La mia mano non toccherà l’orizzonte — ma solo l’ansia che lo riflette — Non posso infilare il cielo nel mio dito”) la Malfaiera ha pubblicato Il vantaggio privato (Sciascia, 1967 e 1970), una fortunata silloge giunta alla sua seconda edizione.

 

La raccolta possiede la volontà di essere e di restare, contemporanea alla visualizzazione di ogni cosa e di ogni accadimento, anche dell’inutilità del vivere e della vergogna dell’esistere (ricordiamo che per Sartre la vergogna è trovarsi indifesi). Lo sguardo sulla materia informe e divisa, densa e sprezzante è ampio e preciso; la realtà è scrutata con passione, frugata con veemenza da cima a fondo, in tutti i suoi aspetti, sociali, psicologici, storici, singoli e collettivi; tuttavia, ad un certo punto, scatta il rifiuto degli oggetti che quella realtà esprime e dello spazio entro cui gli oggetti sono contenuti.

 

Il riconoscimento e la puntualizzazione delle negatività è senza equivoci, ma la scrittrice ne porta tutta la colpa, ne prende atto e formula un’ipotesi di superamento: “ ... agire — dal principio riprendere un atto smesso — per continuarlo fuori dell’accecamento dell’accanita — negazione…”.

 

Attenta ai segni che prevalgono, la scrittrice allora non è più uno strumento passivo inscritto nel tabellone della vita, al contrario si rende autentica protagonista degli eventi, anche se la rabbia — spesso repressa, e che ogni tanto esplode — incute soggezione all’essere: « Per mancanza di passione gli atti — segnalano l’inerzia, i sensi in astrazione sono un’ombra di possibilità . — i libri si consumano in rapidi entusiasmi — s’inventa il resto della vita che non ci ha investito... — Ma l’uomo e le sue rabbie non si estinguono — unica certezza che non detesto ». L’invettiva e l’epigrammaticità saranno maggiori e più violentemente sperimentate ne Lo stato d’emergenza (La nuova foglio editrice, 1971) dove la parola si fa presenza attiva, irriducibile, per cui il verso risulta martellante, rifiutante il sonoro mondo degli echi sotterranei. « Così è meglio così non equivoco — non garantisco di rendere cosa la cosa — pongo la mia dipendenza al panico degli atti — comuni il mio rovescio autopunitivo — finché io viva sarò offesa da tutto — fino a chiedermi se non è il vuoto una forma — elevata di coscienza... ».

 

Accostarsi ai versi della Malfaiera significa, prima di tutto, accostarsi ad un suo libero gesto formativo, ad una lenta cosmogenesi delle possibilità umane che sono in formazione in un lento ribollire, placarsi e poi fondersi e sfaldarsi come lava che dilaga perché non ha trovato ancora un percorso sicuro. Si sviluppa, a volte, e cresce l’ansia di un riconoscimento integrale che tutto riassorba, paure-angosce-debolezze; il poeta vuole arrivare alla fondazione dell’essere oltre che alla delineazione dei propri lineamenti umani, ma l’essenzialità a cui tende è un’essenzialità discussa, cioè non statica e fossilizzata. In questo processo evolutivo la ragione si afferma e resta, comprende e vive i momenti significanti, scarta il mito e accetta l’energia vitale.

 

Tuttavia, quando l’urto esterno è troppo violento e la precarietà ha buon gioco, l’io è costretto a cedere. La vita, che si snoda nel caos e nella confusione, il convulso agitarsi degli altri disperde il filo intrecciato nell’inconscio, turba l’identità e l’essenzialità individuale. La babele comune si dilata altisonante, come un mostro, succhiando tutta la forza singola e il soggetto, allora, guarda sgomento le cose e gli uomini, vivendo nel dubbio e nell’incertezza, privo di speranza. « Mio assurdo bisogno di tensione — e del modo insolente di tradirmi e non so se si tratta — di me protesa o di me che non posso che non so — neanche in che modo e se da un momento all’altro — per accertare che ci sono e chi sono... ».

 

Nella dicotomia accettazione-ripulsa, unità- divisione, senso-non senso il poeta continua, malgrado tutto, a capire che esistono possibilità variabili, orizzonti nuovi ancora da esperire; il moto è incessante e imprevedibile, egli attende il prodigio nella ricerca- tensione della materia non inerte.

 

 

 

ANNA MALFAIERA nata a Fabriano. Ha studiato presso la Facoltà di Magistero dl Urbino. Sue poesie sono apparse su “Letteratura”, “Fiera Letteraria”, “Prospetti”, “ Galleria”, a Arte oggi “. Ha pubblicato: Fermo davanzale (Rebellato, 1961); lI vantaggio privato (Sciascia, 1967 e 1970); Lo stato d’emergenza (La nuova foglio editrice, Pollenza-Macerata, 1971 con disegni o grafiche di Trubbiani e prose di Luigi Paolo Finizio). Vive e lavora a Roma,