Da L’Arena Cultura Veronese

14 Novembre 1993

 

Premi. Riconoscimenti alla poetessa Malfaiera, vincitrice con un libro in versi

Montano” d’avanguardia

 

Una “rivoluzione” che ha scosso tutti i linguaggi

 

Dicono che sono tempi grami per la poesia, ma la passione dei versi, della parola levigata, scabra, sonora, dai contorni perfetti e quasi da assaporare come una pietanza squisita, ha riempito anche quast’anno, come per le passate edizioni, la sala Farinati, dove si è svolta la cerimonia di assegnazione del Premio Montano. La vincitrice Anna Malfalera che ha le physique du ròle di una sacerdotessa, ha con molta solennità accettato gli omaggi alla sua ultima fatica, Il più considerevole, una raccolta di versi stampata da Anterem, la rivista promotrice dell’iniziativa. La Malfaiera, che vive e lavora a Roma, ha sempre scritto poesie e qualche pièces teatrale.

Ma non aspettiamoci espressioni tradizionali; con i poeti del Montano ci troviamo fra le onde agitate dell’avanguardia che, come dice Ermini, direttore della rivista e promotore del premio, «intende allargare sempre più i confmi dell’orizzonte ‘poetico conosciuto». E guai a chi crede che i poeti, perché maneggiano parole e non idee o armi convenzionali, siano per questo meno rivoluzionari. Ermini e i suoi amici sono convinti che la poesia che si tiene lontana dal dogmatismo, che oltrepassa i margini dell’ufficialità, dentro i quali ogni prodotto letterario diventa anche merce, sia di fatto un evento propulsivo.

Diciamo subito che questa rivoluzione dei poeti ci piace, perché dì solito non c’è spargimento di sangue: quel che va letteralmente a pezzi è invece il codice tradizionale del linguaggio. Di Giuliano Gramigna, critico del Corriere della Sera e poeta, che non ha potuto essere presente, è stata letta la postfazione del volume con cui ha illustrato il tipo di sperimentalismo delle poesie della Malfaiera: sul linguaggio essa opera una rescissione chirurgica, eliminando tutte le metafore, ossia le immagini. Se la poesia era definita tradizionalmente un «parlar per immagini», nei testi della Malfaiera le parole si dispongono in sequenza, una dietro l’altra, creando rapporti di vicinanza o di accumulo. Usare le parole in questo modo vuol dire adoperarle come un materiale qualsiasi, un bagaglio di segni che ai possono comporre e scomporre come quei mattoncini di legno o di plastica con cui i bambini compongono fantastici edifici.

E se negli edifici veri il legame tra un mattone e l’altro è il cemento, qui la poesia rifiuta anche il cemento della punteggiatura ed elimina pure il significato come viene inteso tradizionalmente. Se un significato può essere riconosciuto è nell’ìnsieme, magari percorso dalla fine verso il principio, come dice Gramigna. Ma non bisogna scandalizzarsi, anche perché nell’arte figurativa moderna fenomeni sperimentali come questi sono merce quotidiana. Lo choc forse nascere nei non addetti ai lavori, perché le parole siamo abituati a considerarle come portatrici di messaggi e non come un materiale in se stesso.

Ancora dentro lo sperimentalismo delle avanguardie è rimasto il discorso di Gilberto Finzi che ha ricordato l’opera di Silvano Martini, il condirettore di Anterem scomparso l’anno scorso. Martini aveva lavorato sulla prosa del romanzo, seguendo una linea già collaudata da altri scrittori,come Pizzuto, o Manganelli, cioè muovendo dai meccanismi linguistici del racconto. Un racconto è una trama di avvenimenti e quindi ha per suo fulcro portante il verbo che esprime, nella lingua, l’azione. Martini aveva scritto un romanzo Sotto il Leone, ora pubblicato da Anterem, totalmente privo di verbi. Il senso di protesta o di accusa di questa operazione era già stato espresso dallo stesso Martini: «Sopprimere il verbo significa sottrarre l’anima a una entità, svuotarla interiormente...

E’ quanto avviene nella nostra società che è una costellazione di sfere incomunicabili». Parole scritte nel 1969 e che ora forse Martini riscriverebbe diversamente? Ma l’avanguardia è tale perché è problematica e mette tutto sempre in discussione, anche se stessa.

Gianpaolo Marchi ci ha riportato sul terreno della tradizione, ricordando la commemorazione fatta da Montano nel 1965 della

poetessa Lina Arianna Jenna, veronese, ebrea, morta ad Auschwitz nel l945, in un campo di sterminio. La sua poesia, che ha vivo l’eco dei simbolisti francesi, ma non sdegna il dialetto veronese con effetti pregevoli, è poco nota, ma andrebbe studiata sui documenti e manoscritti di proprietà degli eredi, in particolare un libretto di liriche dialettali e un diario, nonché appunti e schizzi. Nel catalogo Casorati a Verona del 1969 si ricordavano le sue sculture nell’ambito di quella cultura artistica degli Anni Venti che è stata una fase particolarmente ricca e aperta della storia della nostra città.

In chiusura è stata presentata una iniziativa recente il Fondo di poesia contemporanea, appena costituito presso la Biblioteca stessa, per raccogliere i testi della poesia italiana moderna, un archivio che possa trasmettere i messaggi innovatori dei poeti sperimentali. Il sax di Filippo Borgo ha chiuso l’incontro, interpretando musicalmente alcuni testi poetici e l’accostamento delle due lingue, quella della musica contemporanea e quella della poesia, ci ha permesso un ulteriore riflessione sulla compenetrazione e comunione di un po’ tutti i linguaggi artistici. Subito prima erano state lette due poesie inedite di Andrea Zanzotto (cfr. L’Arena, 5.11.93) e testi di Silvano Martini: una musica diversa ma anche... egua1e. Nell’universo dell’avanguardia tutto si tiene!

 

 

Paola Azzolini