da: Letteratura . 33-34 MAGGIO-AGOSTO 1958

in Antologia poetica A.M. presentata da Luciano Luisi.

(c'è presente Salvatore Direttore giornale del Ministero P.I. non statale)

 

 

Da Fabriano dove vive e insegna, Anna Malfaiera viene di tanto in tanto a Roma.

 

Ve la conducono ragioni diverse, fra cui forse principale quella dell’amicizia, ma sempre, da due o tre anni, porta con sé un fascicolo di poesie.

 

Durante il nostro primo incontro, indotta dalla fiducia e dalla decisione di un’amica, me le mostrò titubante, non tanto per timidezza letteraria, ma forse, (mi sembrò di capire) umana. Le pareva con quei versi, di scoprirsi troppo, di dare accesso alla sua intimità più segreta.

 

Quelle poesie, fin dalla prima lettura, mi lasciarono una vaga sensazione come di incanto.

 

C’erano le stagioni (ed in particolare il congeniale autunno), c’era l’amore e qualche rapida immagine di città. E tutto era colto, tradotto con un linguaggio vibrante, con immagini sorgive, anche se rivelavano, come è giusto, il binario su cui erano maturate per giungere a quella felice stazione.

 

Ma le letture che innegabili potevano rintracciarsi, scolorivano già in quel clima quasi magico, di cose appena toccate, guardate come ad occhi socchiusi e subito fissate nella loro suggestione più emotiva.

 

E nasceva da questa intima immedesimazione fra l’uomo e la natura, fra lo stato d’animo e il paesaggio, che diveniva esso stesso stato d’animo:

 

Ho in me della campagna desta

il volto le braccia l’abbandono...

Carne di pianta è questo desiderio

che m'inonda...

 

e altrove, con un felicissimo avvio:

Autunno adora di compiuto.

 

Dopo alcuni mesi ci rivedemmo. Le poesie erano quasi tutte riscritte, il fascicolo era divenuto più folto.

 

Poi sono passati altri mesi.

 

Oggi quell’iniziale gruppo di versi costituisce una raccolta nutrita dove è già riconoscibile l’impegno e il profumo di uno stile.

 

Ma ciò che più conta è che la poetessa rivela ormai, persino con una maggiore e scoperta volitività nel suo carattere restio, la presa di coscienza della sua vocazione.

 

Una vocazione che diviene, di giorno in giorno più urgente e che chiede ormai di misurarsi con la pagina stampata per trovare, con più lucida consapevolezza critica, il suo passo.

 

Ma il mutamento è solo apparente.

 

Se la timidezza iniziale è scomparsa, leggendo le sue più recenti poesie scopriamo che quegli slanci, quegli abbandoni, si sono talvolta come cristallizzati in una cifra più letteraria, quasi di copertura, che sembra voler proteggere da occhi troppo indiscreti ciò che vi era di indifeso in questa poetessa e nella sua poesia.

 

Ecco con quale elementare ed efficacissimo linguaggio si manifestavano le pene d’amore:

 

Se non t’amassi così

oggi sarei lieta dei miei svaghi

e riderci delle ore

scadute a contemplarti.

Ma lutto mi ritorna

nell’ora in cui ti trovo,

anche il rancore debole ricade

nel pensarti. Perdona...

 

e come invece si complicano intellettualmente, dopo un verso fra i più belli della raccolta:

 

Tutto di te ciò che mi piace è fede.

Dove il fogliame è folta l’iride sua

sfalda l’azzurro e allo stagno lo bilanci

rimovendo la sfera pesante

del mio vagabondare e torcia a scansare

ogni morte...

 

Si direbbe che quanto più la Malfaiera sente il bisogno di esprimersi, tanto più questo la irrigidisce, le rende impossibile tornare alla primitiva felicità.

 

In parte ciò è dovuto all’acuirsi dell’autocontrollo, ad un più acuto senso critico, ma sopra tutto ad una propria « impossibilità » dì manifestarsi.

 

Quasi che il terna, il centro lirico di ogni poesia sia al di là di un vertice intimo, morale, dove le parole con la loro invenzione debbono raggiungerlo.

 

Certo ogni poeta si trova sempre di fronte a questa impossibilità, ma per la Malfaiera è questa impossibilità stessa il centro della sua vocazione.

 

Ecco la forma perciò più allusiva, ecco il discorso analogico, ma tutto sul filo della stessa magia che rimane intatta come nei versi più distesi.

 

La provincia dove la poetessa è nata sembra ancora chiuderla, inibirle gli impulsi:

 

Dalla finestra aperta per fuggire

corre la pioggia a battermi sul viso...

 

Oppure:

 

Il mia paese è come sono io

e non vorrei che fosse sprofondato

pigro dentro i monti...

e altrove con commossa immediatezza:

 

Io resto qui. Non portarmi

nelle grandi piazze delle città

tumultuose, non portarmi

tra la folla che non mi conosce...

lo resto qui dove il silenzio

profondo si disseta

dove il passo che sbanda

ha sempre il sentiero che lo rimena.

 

Ma la fuga esiste: sono questi versi. Una fuga a mezzo.

 

Le manca il coraggio che la provincia ha frenato in lei, forse anche un poco di spregiudicatezza (ovvero in termini letterari il superamento degli ultimi residui ermeneutici in un libero abbandono alla propria innegabile natura poetica), le manca il conforto di sentirsi guardare dentro e comprendere come chiede alla madre:

 

...ore trascorri a penetrarmi

e poi non so se ti riesce dentro

con gli occhi del tuo cuore.

E non cercare il taglio

che incido nell’odore stagnante

e il mio grido che dà il balzo

al gatto sotto la tua sedia.

 

                                                                                            Luciano Luisi

 

 

ADDIO ALLA CITTÀ

 

Come primo segno della tua città

dentro di me ti vidi

e la giostra rapida frantumava

la tenerezza degli occhi che

t'assorbivano.

Già il ritorno rinnovava

suoni di quiete e saldi prati

nella distesa del cielo nella notte

quando mi piegava la sfolgorante luce

e l'ignoto mi scorreva dentro

più di un fiume.

Non vi è mai stata città

più dolce della tua

mentre al soffio del riso delicato

spolverasti il cammino

tenendomi la mano

e la città fu docile rifugio.

Più tardi doloroso fu l'addio

alla città che mi avevi riscaldato.

 

  

SE NON TAMASSI COSÌ

 

Se non t'amassi così

oggi sarei lieta nei miei svaghi

e riderei delle ore

scadute a contemplarti.

Ma tutto mi ritorna

nell'ora in cui ti trovo,

anche il rancore debole ricade

nel pensarti. Perdona

l'onda che agita il mio cuore

e varia il vento del mio gelo

quando caduta nel silenzio

sento cantare alla tua porta

il rigoglio del mio seno.

Ma voglio tenerti lontano

perché il mio gesto sia vuoto

al riparo dell'angoscia

che ha gli occhi rapidi

della tua presenza.

Mi scavi profonda

quanto più sei lontano.

 

 

TUTTO DI TE CIÒ CHE MI PIACE

 

Tutto di te ciò che mi piace è fede.

Dove il fogliame è folto l’iride tua

sfalda 1'azzurro e allo stagno lo bilanci

rimovendo la sfera pesante

del mio vagabondare e torcia a scansare

ogni morte: l’addio della sera,

il rantolo lontano dell’infanzia

la pressa dell' incerto

l ‘occasione polverosa.

Il tuo profondo è di veglia

nell' aria di festa che mi ricomponi

vigna d'accordo, sigillo

ove la lotta in me si serra

sempre intatta lasciandomi...

 

 

TORNA PER RESTARE

 

 Il ciliegio ingiallisce,

torna per restare.

Solo tu sai vincere la noia

delle cose di sempre, solo tu

conosci il mio paese curvo e freddo,

così schiavo all’umore del tempo.

Solo a te confido

che la cerchia dei doni si restringe.

Non ci resta che chiudere

il paniere vuoto dell’estate

e addensare la nostra sospettosa immobilità

sotto le prime maglie invernali.

 

 

IO RESTO QUI

 

Io resto qui. Non portarmi

nelle grandi piazze della città

tumultuose, non portarmi

tra la folla che non mi conosce.

Io non cerco la folla della città,

la folla disinvolta che sa la direzione,

non mi affido alle voci dorate

degli strumenti che suonano bene.

Mi punge la vergogna

d’essere fuggita dalla via affollata

oltre la cantonata deserta.

Io resto qui dove il silenzio

profondo si disseta,

dove il passo che sbanda

ha sempre il sentiero che lo rimena

  

 

IL PAESE E' SAZIO DI MOSTO

 

Il paese é sazio di mosto

e i suoni ha dolci d’un autunno timoroso.

Si prepara uno sfondo di tristezza

ora che i rami tutti perdono le foglie

e restano gli ulivi in contrasto col tempo

nella candida attesa.

In casa si sta col proprio cuore,

col grano, col vino, attorno al focolare

a commentare le storie sempre nuove.

Così mi trova il vento

e non mi strappa neanche una parola

che tutte sono arse

alla fiamma della bella stagione.

Io non ho più parole e non ascolto

ora che il vento filtra e gode

di rotolarle morte per la via.