CARLO ANTOGNINI

SCRITTORI MARCHIGIANI DEL NOVECENTO

Volume Secondo (Gilberto Bagaloni Editore)

POETI

ANNA MALFAIERA

 

 

Mossa da un bisogno quasi disperato d’afferrare una certezza oltre l’ingannevole giuoco dei sensi e la durezza del vivere in un paesaggio anonimo, Anna Malfaiera è nata a Fabriano. Rimasta orfana di padre all’età di tre anni, ha maturato nella solitudine e nell’ammirazione della madre, che ha sostenuto con grande autorità il peso morale ed economico della famiglia, quel suo carattere malinconico, venato a tratti da un’inguaribile tristezza. Ha studiato presso un Istituto parificato retto da religiose, dove ha conseguito l’abilitazione magistrale. Furono anni non pacifici; contrassegnati, anzi, da urti e atti di ribellione contro un sistema educativo-repressivo che contrastava troppo con il suo bisogno di libertà e di comprensione. In seguito, ha frequentato la Facoltà di lingue e letterature straniere al Magistero di Urbino, senza peraltro pervenire alla laurea, per una decisione inderogabile; conseguente, del testo, al suo spiccato senso di autonomia e di non adeguamento alle regole del giuoco sociale. Tuttavia, alcuni corsi di lezioni in particolare di letteratura francese, inglese e tedesca) e gli accesi dibattiti culturali con altri giovani, allargarono notevolmente il campo delle sue letture e delle scelte personali. Nel ‘58 si trasferì a Roma, dove cominciò a collaborare, con articoli e poesie, ad alcune riviste: Letteratura, Galleria, La fiera letteraria, Arte-oggi. Da quel momento, la sua vicenda umana si è andata sempre più identificando con le sue due raccolte poetiche. E se al centro della prima è un’osservazione attenta e pensosa delle cose in rapporto al proprio mondo interiore, nella seconda la Malfaiera illustra, con intensa partecipazione, il meccanico dinamismo della vita nella città industriale, nei mostruosi agglomerati urbani, tra strade, case, muri che trasudano angoscia. In questi versi la città si riduce, talvolta, a una vasta cornice entro cui si svolge la storia di una quotidiana rinuncia, di una dura e tormentata vicenda umana, di cui la sua poesia è il fedele diario, l’ininterrotta e dolorosa testimonianza. Ma a pensarci bene che cos’é per la Malfaicra il male di vivere? Niente altro, come si diceva, che la sua storia umana: la costante e insieme fluttuante monotonia del vedersi vivere come tanti altri, nella consapevolezza di un vuoto interiore la cui tenebra è generatrice di mostri. Il verso prosastico e sicuro, è il segno di distinzione di questa poesia che non presume più di quello che può (e vuoi) dare:

senza voli, ma senza cadute; feroce nei giudicare il grigio mostro dell’uomo moderno convenzionale e cloroformizzato, l’alterigia delle nuove classi neocapitaliste, la piccolezza impotente; rivelandosi cosi preparata, eticamente matura a contestare gli aspetti negativi di un mondo in divenire, in cui ella si evidenzia come una struttura portante.

 

OPERE: Fermo davanzale, poesie (Rebellato, Padova, 1961); Il vantaggio privato, poesie (Sciascia, Caltanissetta, 1967).

 

 

PAESE SCHIVO AI CONTATTI

 

Paese schivo ai contatti.

Un odore di stagno tra le case,

le polverose ciglia degli infissi,

le canne e le querce senza fronde.

Le strade lo raggirano muto,

i prati spenti di coltura

e il verde domestico sogno.

Pare che muoia ora

ed è già morto, né lo destano più

le fumate sotto l’alba di cenere,

niente più si raccoglie in queste vigne

che la brina contorce.

Va il contadino senza voglia

e non appare altro uccello dopo l’ombra

discesa sul greto a pascolo del gregge.

 

Tutto va via. Anche il tempo

sanguigno urla d’asprezza, cresce,

ingiuria l’abitato chiuso.

Penso quella conchiglia

che a riva attende vuota

il turbamento del mare riscoperto

a notte nel rumore lontano.

Seguo così un cammino

senza alcun luogo vero,

sono disegnata figura fissa

alle strade d’ottobre limaccioso.

 

Da « Fermo davanzale »

 

DI SERA ALLA RONDINE

 

Di sera alla rondine s’uguaglia la stagione.

Giunge voce dai campi, dalle case,

dagli alberi fioriti. L’azzurro si distrae.

Questa sera amorosa mi cresce

fragile di suoni sorti improvvisi,

di tenere occasioni, prima che l’ombra

prenda l’andatura nella notte opaca.

Come potrà mutare in amore il mio deserto

che rende saldo il corpo e preme denso

e vigila ogni cadenza addolcita?

Insidia si farà nei gridi degli uccelli,

tenebrosa, a passo lento

a quattro zampe di bestia.

Seme che fiori d’inganno, grido ed ombra.

 

Il paese è sazio di mosto

e i suoni ha dolci d’un autunno timoroso.

Si prepara uno sfondo di tristezza

ora che i rami tutti perdono le foglie

e restano gli ulivi in contrasto col tempo

nella candida attesa.

In casa si sta col proprio cuore,

col grano, col vino, attorno al focolare

a commentare le storie sempre nuove.

Così mi trova il vento

e non mi strappa neanche una parola,

ché tutte sono arse

alla fiamma della bella stagione.

Io non ho più parole e non ascolto

ora che il vento filtra e gode

di rotolarle morte per la via.

Il fuoco odora di resina di pino.

Nebbia è la memoria se vi filtra la luna,

il cuore si tramuta: sembra un uccello

privo, a sera, del nido nei pagliai.

Un passo che conosco ha l’inverno,

tardi chiarori e brume agli Appennini

e pungoli di gelo.

Cade l’erba muraglia nel cortile

dove il cielo non tinge.

Lasciata la mia casa mi sentirò nel vento.

 

Da « Fermo davanzale »

 

SERA CONCLUSA

 

Sera conclusa. Tetti e cupole sono altro da me

distanziati perché dentro mi cresce l’ansia

di riconoscermi che rifiuta ogni idea

occasionale il movimento rapido che l’impulso

mi detta. Sera non divagata e a casa

oggetti da riordinare pensieri da rendere

la costante preoccupazione di ciò

che si può fare che sarebbe meglio fare.

Mi sento predisposta a condurre la mia realtà

pronta a ingoiare pane difficoltà parole

ad essere socievole con gli altri

con tanta gente che vive quasi non avesse

un sol guaio né mi pare naturale pensare

di voler esser diversa — vivi la tua libertà

mi dico — vivila qui dove è più motivata

dove t’invita o ti estranea la folla

gli edifici le piazze le lunghe strade

asfaltate qui dove è raro incontrare

un conoscente e conta lo sforzo di indicarsi.

E non è un discorso importante che mi faccio

è il cupo-verde di queste aiuole il cielo

annebbiato l’inverno che avanza a farmi

adattata a prepararmi eventi e pensieri

a interrompere abitudini e a crearmene altre.

Sfiderò la pioggia e mi rallegro

di poter agire a modo mio senza e con timidezza

con mutismi accorati e imprevedibili

pudori mascherati incertezze varie

duramente pagate. Se dovrò essere giudicata

sarà per modificarmi in modo migliore

senza lamentarmi delle offese senza fughe

da oggetti e da luoghi senza il peso

di non aver niente da dire. Così la mia sera

si fa si matura avanza nel tempo da trascorrere

con lo stesso invisibile scatto della persona

che si affretta quasi qualcuno l’abbia chiamata.

 

Da “Il vantaggio privato”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SONO PORTATA VERSO UNA RAGIONE RESPONSABILE

 

Sono portata verso una ragione responsabile.

Mi avverte il mattino o il tramonto il cielo

terso e opaco tutto ciò che si produce e si genera

mi avverte il partire congiunto all’arrivare

il buio al giorno il composto al semplice

il gesto nuovo in cui il vecchio sempre s’interpone.

Il suo principio anche se non sarà di bene

mi porterà al mio tempo non raffermo

mi porterà alla scelta. Non tengo

all’atto più notevole al gesto celebrato

vado verso la mia comune rappresentazione.

 

Per essere in leggerezza nella mia vicenda

più di quanto inutilmente tentai

seguo la traccia della mia presenza esatta

fuori dei giorni inutili di uguale prigionia

delle cose poste come elenco della sosta

contraria a questa mia storia fatta appena nascente

che a un tempo incita considera

apprende e tiene a conto la parola

che preme e che non si smarrisce

se subito adempie ad un significato.

 

Ora so di avere un cuore non mutato

ma per ragioni nuove rifatto dalla lucidità

che si dispone dalla certezza di aver varcato

la soglia di una realtà che mi appartiene

e il cui getto è un necessario impulso

e se anche nella vita si alterna il caldo

al freddo se i timori si avverano

la più cruda verità degli atti il movimento

di sole viscere i gesti il compromettersi

i profitti rozzamente tesi e occasionali

se tutto s’impara sempre la ragione si afferma

e sopravvive rivolta alla comprensione

non al rimprovero parallela a questa esistenza

che non si rammarica allo svolgimento

che non si fa leggenda e che pur di polmoni respira.

 

Da “Il vantaggio privato

 

NON PUO’ ESSERCI SOLO QUESTA CAPARBIETA’

 

Non può esserci solo questa caparbietà di andare

di fretta far più presto fare di prepotenza

nella direzione visibile che gli sfoghi quotidiani

nutrono e divorano. Abbiamo un tale

esiguo concetto di noi da rassegnarci ad avere momenti

malevoli verso le applicazioni che ci competono

da dimenticare i motivi che ci tengono insieme e uguali

nell’ordine che la vita dispone i doni che esplodono

improvvisi ciò che ci conforta e ci dispera

che ci attrae e ci disperde nel fondo immenso

senza altro accesso di quello a cui tutti siamo convogliati

fertili di dubbio e d’incertezza. Se possiamo

temerci per ferocia anche dobbiamo vedere

chi per vincere il disamore si soddisfa

con l’alto prezzo dei suoi bisogni chi crede

di manifestarsi esponendosi in forma privata

d’un privato vantaggio chi disponendo

della sua vita naturalmente può ancora

sorridere dopo una giornata in tutto accettata e

— oggi non è stato un buon giorno — chi rinuncia

all’amore chi per sempre sconta un errore

chi da se stesso si fa violenza chi non si rammenta

di sé al tempo dei buoni propositi.

Niente si può prevedere mutano le attese

le intenzioni il ripiego l’abbattimento la malinconia

la minaccia dentro e fuori di noi

ciò che stabilimmo concluso

torna a riproporsi nell’ora attraversata

senza arrendevolezza inquieti dei segni

delle persone e degli eventi che ci alterano

l’appetito e il sonno dell’indolenza che ci apparta

della scarna vecchiaia dei desideri. Interrotto

l’atto che ci fa sentire strumentale resa giungiamo

ad accertarci di vivere di poco dentro derivate prove

forti dei segni che affiorano dalla nostra condizione.

 

Da « Il vantaggio privato »

 

 

PRIMA DI GIUNGERE ALL’INCROCIO

 

Prima di giungere all’incrocio e prima

che quella macchina riesca a posteggiare

avrò mutato direzione in obbedienza

a tutto il casuale. Non posso precisare

se mi castigo dirigendomi a caso

o se piuttosto mi è comodo accettare

l’aderenza al dato più usuale

meccanicamente attiva in elaborazione

in economia confortata sconfortata

in percezione di tanti fatti concatenati

e discordanti manomessa in coscienza

in astenia non essendo alleata

non essendo nemica dei contrari

vado con il proposito affatto generoso

e cade tutto un programma.

Che farò degli atti d’insofferenza dei mezzi

appena in formazione e subito incapaci?

Potrò giovarmi di un metodo per disporre di me

senza soccombere agli urti più violenti

per tener saldo l’essenziale per mantenermi

dritta nell’angustia che mi è riservata?

Potrei in un’estrema finzione

forzare il montaggio del mio agglomerato

dal punto focale filtrare le immagini bianche

e nere il dettaglio di una chiarezza impossibile

vinto il silenzio e il suo prestigio?

 

Non cerco di mutare un colloquio

scadente né dì condurmi verso l’utilità

di tanti strumenti verosimili

mi domando fin quando può valere

la constatazione ostinata

di una manifestazione fallimentare

della non identificazione posta

quale ordinanza su foglio amministrativo.

Non prevedo alcun cambiamento alcuna sorpresa.

 

La gente catalogata dai quartieri dall’abito

che indossa dagli edifici che la contiene

sfusa in andamento svogliato alternata

al passaggio ferma ai bar priva di stupore

con un bisogno d’aria respirabile

tra gli autobus la doppia fila delle auto

in una esposizione permanente

con l’aspetto che pure non ride.

 

Mi consiglierei d’incrudelire

disconosciute la confidenza l’operosità

certe indicazioni geografiche.

Tra ciò che è reso e la sua determinazione

la vita assodata è più deperita

di quanto formalmente lo sia

senza prove di amicizia soggiogata alla mole

di una materia fragile ed incerta.

In stupefazione mi si compone l’enorme orgasmo

provvisorio come qualsiasi stagione.

 

Ciò che è stato compatito una volta

ripetuto diviene assurdità il concedersi

di nuovo quando quel che è accaduto

è dentro il tempo da tacere e la praticità

della scelta è valida allo stato di gioco.

Raggiro la vergogna che mi vorrebbe portar via

sapendo di coincidere negli altri vicini

all’attimo in cui non ci sarà più niente da fare.

 

Non mi va di stare dietro ad una cosa così

non è soddisfacente lasciarsi andare.

 

Qui il niente fatto il poco considerato

il non espresso il conto dei denari il grado

dell’utilità accordati in ciò che ci è più comodo

in ciò che è più malato. Meglio procedere

con inimicizia stabilire l’antagonismo.

È un’elargizione immeritata il rapporto

tanto per illudermi. Non vivo di carità.

Quello che oggi è respinto è per sempre.

Non voglio fingermi in naturalezza

o nel modo che forse potrei. Rischio di mentire

ad ogni probabile inizio asservita

alla negazione del disordine che mi allarma.

In me l’immagine che faccia a faccia

mi imbarazza non vuole deporre

neanche un minimo di tenerezza

sospende i valori distorti senza soffrirne

registra la parte che non precipita

ripara l’intenzione di resistere e di accadere

la riserva di ammonimenti e di difesa.

 

 

Da « Il vantaggio privato »

 

SUCCEDE DI VIVERE

 

Succede di vivere nel caso di ingiusta

proporzione di resistere nella stretta

vita a dispetto della negazione

della decomposizione delle immagini di cosa e cosa.

Per mancanza di passione gli atti

segnalano l’inerzia i sensi in astrazione

sono un’ombra di possibilità destinata

a fallire i libri si consumano in rapidi entusiasmi

s’inventa il resto della vita che non ci ha investito

quello disimparato

l’ultimo balzo della tigre nel cerchio rovente.

Ma l’uomo e le sue rabbie non si estinguono

unica certezza che non detesto.

 

Da « Il vantaggio privato »

 

ANNIENTA SE PUOI LA REALTA’

 

Annienta se puoi la realtà colpiscila

limitala ancora di più e poi accertati

del tuo sviluppo di dinosauro dei vincoli

adeguati al tuo volume e peso specifico

vedi caso di genere irragionevole abnorme

e me condannami a quel che accade e inevitabile

alla mia identità si direbbe alle

circostanze di alcuni elementi insoluti.

 

Non potrai superare la sorpresa

che mi ha inchiodato a vere sanzioni tu sei

un aforisma ambiguo lusingato. Impara

a ignorare gli argomenti di un percorso

egoista impara a porti dalla parte degli altri

l’invadente disponibilità oppone un cattivo

presente agli avvenimenti necessitati impara

a vagliare i parametri compositivi i rapporti

tra le forze coscienti e il loro sfacelo

perché l’intero resista e ciò che era da sempre

e ciò che avviene ed è irrevocabile al tempo stesso.

 

In alcun modo devi esercitare la tua liberazione

su di me in alcun modo da te su me ricorrendo

al medium fisico all’esigenza controversa

di una originaria resa. Mi adoperi. Penso

alla distanza che mi separa dalla stagione

delle preferenze quando le attitudini

potevano agire e opponevo la resistenza esatta

alle intenzionali sopraffazioni quando generosità

e bene erano scoperte per trattenere esistere diventare.

 

1968

 

 

 

 

 

 

NON INGANNIAMOCI

 

Non inganniamoci. Non è minima

la nostra società che prima divora

e poi commisera qualsiasi accertamento

anche il non eccentrico incorre in estremi

rischi. La negazione perentoria può

spingersi più in là di quello che si può

soffrire? Se tento annotare i sintomi

di un fittizio progresso le istituzioni

i personaggi se riapro i termini

d’appello se se se... ogni impedimento

la verbosità contro gli avvenimenti

decisi a prodursi e peggio li spegne

la liberalità dei gesti cauti gli atti

e i loro limiti determinati

se dico basta è già basta ma non basta

occorre fare qualcosa che indichi

quel che basta e le accezioni dei suoi segni.

 

1968

 

IL CONFORTO DI UN PROSSIMO NEUTRALE

 

...................................................................pensa

che il male e il bene non fanno ormai

più tema pensa che decresce la durata

legittima del meglio non so più bene

se ha un riflesso la dimensione fisica

dei fatti che ti lasciano andare.

Negazione per negazione ci si potrebbe

adagiare nella sicurezza del buio ma

non è vero se premendolo il silenzio

urla sullo schermo nero che ci sembra tale.

Non so se è in noi un qualcosa che serva

a capire che c’entra si può assecondare

una formula data ritrovare un modulo

che non si è cercato che già esisteva

nell’intreccio meccanico di pròvvide

combinazioni e se intorno troppe cose

insieme non possono ordinarsi almeno

si conosce del tempo imminente il modo

automatico di esservi proiettati

il comodo far presto di criteri inerti

il conforto di un prossimo neutrale.

 

1968

 

 

SE VIVO CON PASSIONE

 

Se vivo con passione muto le ore affollo

il cuore non c’è arresto nell’amore comune

insieme respiro e mi esprimo lascio stupito

il silenzio dietro la porta e quello che credevo

svigorito e saccheggiato è una fiera affezione

che abbraccia si migliora rompe il meccanismo

furioso in cui tutto è in pena sconsiderato

tutto è disperato tutto è sbagliato

voglio richiamare gli elementi che mi si opposero

e quello che non potei amare tutto voglio

di nuovo avere cogliere con mano il bene

per cui ricominciare per cui altro tempo

altre occasioni altre speranze potrò celebrare.

 

 

1968CARLO ANTOGNINI

SCRITTORI MARCHIGIANI DEL NOVECENTO

Volume Secondo (Gilberto Bagaloni Editore)

POETI

ANNA MALFAIERA

 

 

Mossa da un bisogno quasi disperato d’afferrare una certezza oltre l’ingannevole giuoco dei sensi e la durezza del vivere in un paesaggio anonimo, Anna Malfaiera è nata a Fabriano. Rimasta orfana di padre all’età di tre anni, ha maturato nella solitudine e nell’ammirazione della madre, che ha sostenuto con grande autorità il peso morale ed economico della famiglia, quel suo carattere malinconico, venato a tratti da un’inguaribile tristezza. Ha studiato presso un Istituto parificato retto da religiose, dove ha conseguito l’abilitazione magistrale. Furono anni non pacifici; contrassegnati, anzi, da urti e atti di ribellione contro un sistema educativo-repressivo che contrastava troppo con il suo bisogno di libertà e di comprensione. In seguito, ha frequentato la Facoltà di lingue e letterature straniere al Magistero di Urbino, senza peraltro pervenire alla laurea, per una decisione inderogabile; conseguente, del testo, al suo spiccato senso di autonomia e di non adeguamento alle regole del giuoco sociale. Tuttavia, alcuni corsi di lezioni in particolare di letteratura francese, inglese e tedesca) e gli accesi dibattiti culturali con altri giovani, allargarono notevolmente il campo delle sue letture e delle scelte personali. Nel ‘58 si trasferì a Roma, dove cominciò a collaborare, con articoli e poesie, ad alcune riviste: Letteratura, Galleria, La fiera letteraria, Arte-oggi. Da quel momento, la sua vicenda umana si è andata sempre più identificando con le sue due raccolte poetiche. E se al centro della prima è un’osservazione attenta e pensosa delle cose in rapporto al proprio mondo interiore, nella seconda la Malfaiera illustra, con intensa partecipazione, il meccanico dinamismo della vita nella città industriale, nei mostruosi agglomerati urbani, tra strade, case, muri che trasudano angoscia. In questi versi la città si riduce, talvolta, a una vasta cornice entro cui si svolge la storia di una quotidiana rinuncia, di una dura e tormentata vicenda umana, di cui la sua poesia è il fedele diario, l’ininterrotta e dolorosa testimonianza. Ma a pensarci bene che cos’é per la Malfaicra il male di vivere? Niente altro, come si diceva, che la sua storia umana: la costante e insieme fluttuante monotonia del vedersi vivere come tanti altri, nella consapevolezza di un vuoto interiore la cui tenebra è generatrice di mostri. Il verso prosastico e sicuro, è il segno di distinzione di questa poesia che non presume più di quello che può (e vuoi) dare:

senza voli, ma senza cadute; feroce nei giudicare il grigio mostro dell’uomo moderno convenzionale e cloroformizzato, l’alterigia delle nuove classi neocapitaliste, la piccolezza impotente; rivelandosi cosi preparata, eticamente matura a contestare gli aspetti negativi di un mondo in divenire, in cui ella si evidenzia come una struttura portante.

 

OPERE: Fermo davanzale, poesie (Rebellato, Padova, 1961); Il vantaggio privato, poesie (Sciascia, Caltanissetta, 1967).

 

 

PAESE SCHIVO AI CONTATTI

 

Paese schivo ai contatti.

Un odore di stagno tra le case,

le polverose ciglia degli infissi,

le canne e le querce senza fronde.

Le strade lo raggirano muto,

i prati spenti di coltura

e il verde domestico sogno.

Pare che muoia ora

ed è già morto, né lo destano più

le fumate sotto l’alba di cenere,

niente più si raccoglie in queste vigne

che la brina contorce.

Va il contadino senza voglia

e non appare altro uccello dopo l’ombra

discesa sul greto a pascolo del gregge.

 

Tutto va via. Anche il tempo

sanguigno urla d’asprezza, cresce,

ingiuria l’abitato chiuso.

Penso quella conchiglia

che a riva attende vuota

il turbamento del mare riscoperto

a notte nel rumore lontano.

Seguo così un cammino

senza alcun luogo vero,

sono disegnata figura fissa

alle strade d’ottobre limaccioso.

 

Da « Fermo davanzale »

 

DI SERA ALLA RONDINE

 

Di sera alla rondine s’uguaglia la stagione.

Giunge voce dai campi, dalle case,

dagli alberi fioriti. L’azzurro si distrae.

Questa sera amorosa mi cresce

fragile di suoni sorti improvvisi,

di tenere occasioni, prima che l’ombra

prenda l’andatura nella notte opaca.

Come potrà mutare in amore il mio deserto

che rende saldo il corpo e preme denso

e vigila ogni cadenza addolcita?

Insidia si farà nei gridi degli uccelli,

tenebrosa, a passo lento

a quattro zampe di bestia.

Seme che fiori d’inganno, grido ed ombra.

 

Il paese è sazio di mosto

e i suoni ha dolci d’un autunno timoroso.

Si prepara uno sfondo di tristezza

ora che i rami tutti perdono le foglie

e restano gli ulivi in contrasto col tempo

nella candida attesa.

In casa si sta col proprio cuore,

col grano, col vino, attorno al focolare

a commentare le storie sempre nuove.

Così mi trova il vento

e non mi strappa neanche una parola,

ché tutte sono arse

alla fiamma della bella stagione.

Io non ho più parole e non ascolto

ora che il vento filtra e gode

di rotolarle morte per la via.

Il fuoco odora di resina di pino.

Nebbia è la memoria se vi filtra la luna,

il cuore si tramuta: sembra un uccello

privo, a sera, del nido nei pagliai.

Un passo che conosco ha l’inverno,

tardi chiarori e brume agli Appennini

e pungoli di gelo.

Cade l’erba muraglia nel cortile

dove il cielo non tinge.

Lasciata la mia casa mi sentirò nel vento.

 

Da « Fermo davanzale »

 

SERA CONCLUSA

 

Sera conclusa. Tetti e cupole sono altro da me

distanziati perché dentro mi cresce l’ansia

di riconoscermi che rifiuta ogni idea

occasionale il movimento rapido che l’impulso

mi detta. Sera non divagata e a casa

oggetti da riordinare pensieri da rendere

la costante preoccupazione di ciò

che si può fare che sarebbe meglio fare.

Mi sento predisposta a condurre la mia realtà

pronta a ingoiare pane difficoltà parole

ad essere socievole con gli altri

con tanta gente che vive quasi non avesse

un sol guaio né mi pare naturale pensare

di voler esser diversa — vivi la tua libertà

mi dico — vivila qui dove è più motivata

dove t’invita o ti estranea la folla

gli edifici le piazze le lunghe strade

asfaltate qui dove è raro incontrare

un conoscente e conta lo sforzo di indicarsi.

E non è un discorso importante che mi faccio

è il cupo-verde di queste aiuole il cielo

annebbiato l’inverno che avanza a farmi

adattata a prepararmi eventi e pensieri

a interrompere abitudini e a crearmene altre.

Sfiderò la pioggia e mi rallegro

di poter agire a modo mio senza e con timidezza

con mutismi accorati e imprevedibili

pudori mascherati incertezze varie

duramente pagate. Se dovrò essere giudicata

sarà per modificarmi in modo migliore

senza lamentarmi delle offese senza fughe

da oggetti e da luoghi senza il peso

di non aver niente da dire. Così la mia sera

si fa si matura avanza nel tempo da trascorrere

con lo stesso invisibile scatto della persona

che si affretta quasi qualcuno l’abbia chiamata.

 

Da “Il vantaggio privato”

 

SONO PORTATA VERSO UNA RAGIONE RESPONSABILE

 

Sono portata verso una ragione responsabile.

Mi avverte il mattino o il tramonto il cielo

terso e opaco tutto ciò che si produce e si genera

mi avverte il partire congiunto all’arrivare

il buio al giorno il composto al semplice

il gesto nuovo in cui il vecchio sempre s’interpone.

Il suo principio anche se non sarà di bene

mi porterà al mio tempo non raffermo

mi porterà alla scelta. Non tengo

all’atto più notevole al gesto celebrato

vado verso la mia comune rappresentazione.

 

Per essere in leggerezza nella mia vicenda

più di quanto inutilmente tentai

seguo la traccia della mia presenza esatta

fuori dei giorni inutili di uguale prigionia

delle cose poste come elenco della sosta

contraria a questa mia storia fatta appena nascente

che a un tempo incita considera

apprende e tiene a conto la parola

che preme e che non si smarrisce

se subito adempie ad un significato.

 

Ora so di avere un cuore non mutato

ma per ragioni nuove rifatto dalla lucidità

che si dispone dalla certezza di aver varcato

la soglia di una realtà che mi appartiene

e il cui getto è un necessario impulso

e se anche nella vita si alterna il caldo

al freddo se i timori si avverano

la più cruda verità degli atti il movimento

di sole viscere i gesti il compromettersi

i profitti rozzamente tesi e occasionali

se tutto s’impara sempre la ragione si afferma

e sopravvive rivolta alla comprensione

non al rimprovero parallela a questa esistenza

che non si rammarica allo svolgimento

che non si fa leggenda e che pur di polmoni respira.

 

 

Da “Il vantaggio privato

 

NON PUO’ ESSERCI SOLO QUESTA CAPARBIETA’

 

Non può esserci solo questa caparbietà di andare

di fretta far più presto fare di prepotenza

nella direzione visibile che gli sfoghi quotidiani

nutrono e divorano. Abbiamo un tale

esiguo concetto di noi da rassegnarci ad avere momenti

malevoli verso le applicazioni che ci competono

da dimenticare i motivi che ci tengono insieme e uguali

nell’ordine che la vita dispone i doni che esplodono

improvvisi ciò che ci conforta e ci dispera

che ci attrae e ci disperde nel fondo immenso

senza altro accesso di quello a cui tutti siamo convogliati

fertili di dubbio e d’incertezza. Se possiamo

temerci per ferocia anche dobbiamo vedere

chi per vincere il disamore si soddisfa

con l’alto prezzo dei suoi bisogni chi crede

di manifestarsi esponendosi in forma privata

d’un privato vantaggio chi disponendo

della sua vita naturalmente può ancora

sorridere dopo una giornata in tutto accettata e

— oggi non è stato un buon giorno — chi rinuncia

all’amore chi per sempre sconta un errore

chi da se stesso si fa violenza chi non si rammenta

di sé al tempo dei buoni propositi.

Niente si può prevedere mutano le attese

le intenzioni il ripiego l’abbattimento la malinconia

la minaccia dentro e fuori di noi

ciò che stabilimmo concluso

torna a riproporsi nell’ora attraversata

senza arrendevolezza inquieti dei segni

delle persone e degli eventi che ci alterano

l’appetito e il sonno dell’indolenza che ci apparta

della scarna vecchiaia dei desideri. Interrotto

l’atto che ci fa sentire strumentale resa giungiamo

ad accertarci di vivere di poco dentro derivate prove

forti dei segni che affiorano dalla nostra condizione.

 

Da « Il vantaggio privato »

 

 

PRIMA DI GIUNGERE ALL’INCROCIO

 

Prima di giungere all’incrocio e prima

che quella macchina riesca a posteggiare

avrò mutato direzione in obbedienza

a tutto il casuale. Non posso precisare

se mi castigo dirigendomi a caso

o se piuttosto mi è comodo accettare

l’aderenza al dato più usuale

meccanicamente attiva in elaborazione

in economia confortata sconfortata

in percezione di tanti fatti concatenati

e discordanti manomessa in coscienza

in astenia non essendo alleata

non essendo nemica dei contrari

vado con il proposito affatto generoso

e cade tutto un programma.

Che farò degli atti d’insofferenza dei mezzi

appena in formazione e subito incapaci?

Potrò giovarmi di un metodo per disporre di me

senza soccombere agli urti più violenti

per tener saldo l’essenziale per mantenermi

dritta nell’angustia che mi è riservata?

Potrei in un’estrema finzione

forzare il montaggio del mio agglomerato

dal punto focale filtrare le immagini bianche

e nere il dettaglio di una chiarezza impossibile

vinto il silenzio e il suo prestigio?

 

Non cerco di mutare un colloquio

scadente né dì condurmi verso l’utilità

di tanti strumenti verosimili

mi domando fin quando può valere

la constatazione ostinata

di una manifestazione fallimentare

della non identificazione posta

quale ordinanza su foglio amministrativo.

Non prevedo alcun cambiamento alcuna sorpresa.

 

La gente catalogata dai quartieri dall’abito

che indossa dagli edifici che la contiene

sfusa in andamento svogliato alternata

al passaggio ferma ai bar priva di stupore

con un bisogno d’aria respirabile

tra gli autobus la doppia fila delle auto

in una esposizione permanente

con l’aspetto che pure non ride.

 

Mi consiglierei d’incrudelire

disconosciute la confidenza l’operosità

certe indicazioni geografiche.

Tra ciò che è reso e la sua determinazione

la vita assodata è più deperita

di quanto formalmente lo sia

senza prove di amicizia soggiogata alla mole

di una materia fragile ed incerta.

In stupefazione mi si compone l’enorme orgasmo

provvisorio come qualsiasi stagione.

 

Ciò che è stato compatito una volta

ripetuto diviene assurdità il concedersi

di nuovo quando quel che è accaduto

è dentro il tempo da tacere e la praticità

della scelta è valida allo stato di gioco.

Raggiro la vergogna che mi vorrebbe portar via

sapendo di coincidere negli altri vicini

all’attimo in cui non ci sarà più niente da fare.

 

Non mi va di stare dietro ad una cosa così

non è soddisfacente lasciarsi andare.

 

Qui il niente fatto il poco considerato

il non espresso il conto dei denari il grado

dell’utilità accordati in ciò che ci è più comodo

in ciò che è più malato. Meglio procedere

con inimicizia stabilire l’antagonismo.

È un’elargizione immeritata il rapporto

tanto per illudermi. Non vivo di carità.

Quello che oggi è respinto è per sempre.

Non voglio fingermi in naturalezza

o nel modo che forse potrei. Rischio di mentire

ad ogni probabile inizio asservita

alla negazione del disordine che mi allarma.

In me l’immagine che faccia a faccia

mi imbarazza non vuole deporre

neanche un minimo di tenerezza

sospende i valori distorti senza soffrirne

registra la parte che non precipita

ripara l’intenzione di resistere e di accadere

la riserva di ammonimenti e di difesa.

 

 

Da « Il vantaggio privato »

 

SUCCEDE DI VIVERE

 

Succede di vivere nel caso di ingiusta

proporzione di resistere nella stretta

vita a dispetto della negazione

della decomposizione delle immagini di cosa e cosa.

Per mancanza di passione gli atti

segnalano l’inerzia i sensi in astrazione

sono un’ombra di possibilità destinata

a fallire i libri si consumano in rapidi entusiasmi

s’inventa il resto della vita che non ci ha investito

quello disimparato

l’ultimo balzo della tigre nel cerchio rovente.

Ma l’uomo e le sue rabbie non si estinguono

unica certezza che non detesto.

 

Da « Il vantaggio privato »

 

ANNIENTA SE PUOI LA REALTA’

 

Annienta se puoi la realtà colpiscila

limitala ancora di più e poi accertati

del tuo sviluppo di dinosauro dei vincoli

adeguati al tuo volume e peso specifico

vedi caso di genere irragionevole abnorme

e me condannami a quel che accade e inevitabile

alla mia identità si direbbe alle

circostanze di alcuni elementi insoluti.

 

Non potrai superare la sorpresa

che mi ha inchiodato a vere sanzioni tu sei

un aforisma ambiguo lusingato. Impara

a ignorare gli argomenti di un percorso

egoista impara a porti dalla parte degli altri

l’invadente disponibilità oppone un cattivo

presente agli avvenimenti necessitati impara

a vagliare i parametri compositivi i rapporti

tra le forze coscienti e il loro sfacelo

perché l’intero resista e ciò che era da sempre

e ciò che avviene ed è irrevocabile al tempo stesso.

 

In alcun modo devi esercitare la tua liberazione

su di me in alcun modo da te su me ricorrendo

al medium fisico all’esigenza controversa

di una originaria resa. Mi adoperi. Penso

alla distanza che mi separa dalla stagione

delle preferenze quando le attitudini

potevano agire e opponevo la resistenza esatta

alle intenzionali sopraffazioni quando generosità

e bene erano scoperte per trattenere esistere diventare.

 

1968

 

NON INGANNIAMOCI

 

Non inganniamoci. Non è minima

la nostra società che prima divora

e poi commisera qualsiasi accertamento

anche il non eccentrico incorre in estremi

rischi. La negazione perentoria può

spingersi più in là di quello che si può

soffrire? Se tento annotare i sintomi

di un fittizio progresso le istituzioni

i personaggi se riapro i termini

d’appello se se se... ogni impedimento

la verbosità contro gli avvenimenti

decisi a prodursi e peggio li spegne

la liberalità dei gesti cauti gli atti

e i loro limiti determinati

se dico basta è già basta ma non basta

occorre fare qualcosa che indichi

quel che basta e le accezioni dei suoi segni.

 

1968

 

IL CONFORTO DI UN PROSSIMO NEUTRALE

 

...................................................................pensa

che il male e il bene non fanno ormai

più tema pensa che decresce la durata

legittima del meglio non so più bene

se ha un riflesso la dimensione fisica

dei fatti che ti lasciano andare.

Negazione per negazione ci si potrebbe

adagiare nella sicurezza del buio ma

non è vero se premendolo il silenzio

urla sullo schermo nero che ci sembra tale.

Non so se è in noi un qualcosa che serva

a capire che c’entra si può assecondare

una formula data ritrovare un modulo

che non si è cercato che già esisteva

nell’intreccio meccanico di pròvvide

combinazioni e se intorno troppe cose

insieme non possono ordinarsi almeno

si conosce del tempo imminente il modo

automatico di esservi proiettati

il comodo far presto di criteri inerti

il conforto di un prossimo neutrale.

 

1968

 

SE VIVO CON PASSIONE

 

Se vivo con passione muto le ore affollo

il cuore non c’è arresto nell’amore comune

insieme respiro e mi esprimo lascio stupito

il silenzio dietro la porta e quello che credevo

svigorito e saccheggiato è una fiera affezione

che abbraccia si migliora rompe il meccanismo

furioso in cui tutto è in pena sconsiderato

tutto è disperato tutto è sbagliato

voglio richiamare gli elementi che mi si opposero

e quello che non potei amare tutto voglio

di nuovo avere cogliere con mano il bene

per cui ricominciare per cui altro tempo

altre occasioni altre speranze potrò celebrare.

 

1968